La via, all'improvviso , si tuffava , ripida, si immergeva in un susseguirsi di case addossate le une alle altre, dai portoni con grandi stipiti in pietra e le finestrelle laterali, basse, chiuse da inferriate vecchie come il tempo.
Si intrecciavano le scalinate fino ai vicoli nascosti del paese vecchio, giù per la via di sotto..
In uno slargo,tra le case, c'era una porta verde, di quelle di legno pesante screpolato e riverniciato grossolanamente, tanto da lasciare grumi di colore nelle fessure.
D'estate, la porta era sempre aperta, la tendina bianca , di stoffa leggera, stava delicatamente sollevata a metà e fissata alla bell'e meglio ad un gancio nel muro.
Dentro stava Zia Maria, grassoccia, rubiconda, a sferruzzare con l'uncinetto, in quella bottega minuscola piena dell'odore della farina e della pasta sfusa che dava bella mostra di sè nei cassetti a vetro di un enorme mobile tinteggiato di verde come la porta.
Sgattaiolavo dentro, mi attirava il gigantesco barattolo di vetro, panciuto, che stava sul bancone. Pieno di caramelle gommose e zuccherine, tutte colorate, striate, ricoperte. Una diversa dall'altra.
Arrivavo a malapena a sfiorare il piano del bancone con le dita e spingendomi con forza sulla punta dei piedi.
Zia Maria sorrideva sorniona, si alzava solo per servire le anziane signore avvolte in scialli scuri che passavano per le uova di giornata e per il pane caldo di forno.
Io aspettavo, ciondolando sulle gambe, la lingua sporgente e le manine dietro la schiena, aspettavo e aspettavo.
Zia Maria allora mi prendeva in braccio, e finalmente mi lasciava infilare la mano golosa nell'immenso barattolo per afferrare il mio tesoro.
Che bello, essere felici per una caramella.
Si intrecciavano le scalinate fino ai vicoli nascosti del paese vecchio, giù per la via di sotto..
In uno slargo,tra le case, c'era una porta verde, di quelle di legno pesante screpolato e riverniciato grossolanamente, tanto da lasciare grumi di colore nelle fessure.
D'estate, la porta era sempre aperta, la tendina bianca , di stoffa leggera, stava delicatamente sollevata a metà e fissata alla bell'e meglio ad un gancio nel muro.
Dentro stava Zia Maria, grassoccia, rubiconda, a sferruzzare con l'uncinetto, in quella bottega minuscola piena dell'odore della farina e della pasta sfusa che dava bella mostra di sè nei cassetti a vetro di un enorme mobile tinteggiato di verde come la porta.
Sgattaiolavo dentro, mi attirava il gigantesco barattolo di vetro, panciuto, che stava sul bancone. Pieno di caramelle gommose e zuccherine, tutte colorate, striate, ricoperte. Una diversa dall'altra.
Arrivavo a malapena a sfiorare il piano del bancone con le dita e spingendomi con forza sulla punta dei piedi.
Zia Maria sorrideva sorniona, si alzava solo per servire le anziane signore avvolte in scialli scuri che passavano per le uova di giornata e per il pane caldo di forno.
Io aspettavo, ciondolando sulle gambe, la lingua sporgente e le manine dietro la schiena, aspettavo e aspettavo.
Zia Maria allora mi prendeva in braccio, e finalmente mi lasciava infilare la mano golosa nell'immenso barattolo per afferrare il mio tesoro.
Che bello, essere felici per una caramella.